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La derogabilità dei parametri del D.M. n. 1444/1968 tra leggi regionali e giurisprudenza costituzionale (che fare dopo TAR Parma n. 113/2018 ?)
di Domenico Lavermicocca
6/7/2018

L’argomento ha una rilevante importanza per gli obiettivi qualificanti e strategici che si pone la legge regionale 21.12.2017 n. 24, ed in particolare, ai fini del contenimento del consumo di suolo, la rigenerazione dei territori urbanizzati attraverso gli interventi (indicati dall’art. 7 comma 4) di qualificazione edilizia, di ristrutturazione urbanistica, di addensamento o sostituzione urbana che si realizzano con interventi demolitivi e ricostruttivi dell’esistente, previa imprescindibile perimetrazione del territorio urbanizzato (art. 32), a volte con il riconoscimento di bonus volumetrici, il tutto irrealizzabile nell’edificato senza la deroga ai parametri del D.M. 1444/1967 ed in particolare ai limiti inderogabili delle distanze tra fabbricati.

Per dare riscontro a tale finalità la legge riporta nell’art. 10, recante “Deroghe al decreto ministeriale n. 1444 del 1968”, i presupposti della stessa applicativi riproponendo quanto prevedeva l’art. 7 ter, comma 3 bis della L. R. n. 20.2000 (introdotto dalla L.R. 18 luglio 2014, n.17).

L’esame di tale norma della legge regionale non può prescindere dalla disamina della norma statale di cui si dichiara attuativa (art. 2 bis del Dpr n. 380/2001) nonché dei principi dettati dalla Corte Costituzionale e dall’ultima giurisprudenza, con i dubbi che una previsione omissiva di tali dettami determina in merito all’applicazione della nuova disposizione, con il possibile superamento dei limiti della legittimità costituzionale.

A) La normativa statale

1. Gli art.li 7, 8, 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 e il valore inderogabile

Come noto, il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, emesso su delega prevista nella L. 18 agosto 1942, n. 1150, art. 41 quinquies, inserito dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17, stabilisce dei limiti inderogabili di densità edilizia (art. 7), di altezza degli edifici (art. 8) di distanza tra i fabbricati (art. 9), distinte per le allora zone omogenee.

Con particolare riferimento all’art. 9 la giurisprudenza ha affermato che tale disposizione, in quanto norma imperativa avente il fine specifico di garantire l'interesse pubblico ad un ordinato sviluppo dell'edilizia ed alla protezione della salute dei cittadini, ha efficacia di legge dello Stato con valore precettivo ed inderogabile, con la conseguenza che le sue disposizioni in tema di limiti di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti edilizi, le quali qualora vengano impugnate devono essere annullate o comunque disapplicate per l'effetto di sostituzione dovuto all'automatico inserimento della clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata (1).

Quale unica deroga prevista alla vincolatività delle distanze tra fabbricati, sono consentite “distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche” (ultimo periodo dell’art. 9).

2. Le norme regionali derogatorie e le pronunce della Corte Costituzionale

Nonostante il richiamato costante principio giurisprudenziale in tema di inderogabilità dei limiti indicati dall’art. 9 citato, le Regioni ed i Comuni hanno introdotto disposizioni legislative e regolamentari derogatorie della norma sulle distanze tra fabbricati nel tentativo di favorire la rigenerazione dei fabbricati esistenti che venivano sottoposti ad interventi demolitivi e ricostruttivi o nel caso di bonus volumetrici in zone già edificate, rispondendo ad esigenze che, ben diverse da quelle del 1968, imponevano un rilancio del settore immobiliare.

La Corte Costituzionale si è più volte pronunciata sulla legittimità di tali norme, sin dal 2005 ribadendo costantemente che le Regioni che derogano i limiti nazionali dettati dal D.M. 1444/1968 travalicano le proprie competenze in materia di governo del territorio interferendo con la competenza esclusiva dello Stato a fissare le distanze minime, che fanno parte delle disposizioni del codice civile e, quindi, di competenza statale (2).

Tale principio viene chiaramente espresso dalla sentenza n. 232 del 2005, nella quale la Corte precisa che le deroghe alle distanze minime sono consentite alla normativa locale purché siano previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio, con la conseguenza che dette deroghe, per essere legittime, devono attenere agli assetti urbanistici, e quindi al governo del territorio, e non ai rapporti tra vicini isolatamente considerati in funzione degli interessi privati dei proprietari dei fondi finitimi.

La successiva sentenza 23/01/2013, n. 6 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, L.R. Marche 4 settembre 1979, n. 31 (3), individua il punto di equilibrio tra la competenza legislativa statale in materia di «ordinamento civile» e quella regionale in materia di «governo del territorio» nella sintesi normativa nell'ultimo comma dell'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, più volte ritenuto dotato di «efficacia precettiva e inderogabile, secondo un principio giurisprudenziale consolidato» (4). Come detto, quest'ultima disposizione consente che siano fissate distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche», come ancora affermato nella sentenza della Corte cost., 21/05/2014, n. 134 nel ricorso avverso la L.R. Basilicata 30 dicembre 2011, n. 26 (5).

3. L’art. 2-bis del decreto legge 69/2013 (cd decreto del fare) e le successive pronunce della Corte costituzionale

Con l’approvazione del decreto legge 69/2013, convertito nella legge 9 agosto 2013 n. 98 (cd decreto del fare), attesa la contrazione economica di quel periodo coinvolgente anche il settore immobiliare, il legislatore statale è intervenuto con una serie di norme incentivanti l’attività edilizia ed ha tenuto conto della situazione e delle esigenze espresse dalle Regioni per lo più rivolte al recupero del patrimonio edilizio esistente.

Tra le altre disposizioni è stato introdotto nel T.U.Ed. l’art. 2-bis, recante “Deroghe ai limiti di distanza tra fabbricati” (6) per il quale, ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà ed alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, è consentita la deroga delle distanze stabilite dal d.m. n. 1444 del 1968 da parte della normativa regionale, ma solo a condizione che siano «inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio», quindi, sostanzialmente, riproponendo il presupposto dettato dall’art. 9 del D.M. n. 1444/68 ai fini della deroga delle distanze tra fabbricati.

Difatti, dopo l’entrata in vigore dell’art. 2 bis e l’esercizio da parte di alcune Regioni del riconosciuto potere legislativo, la Corte costituzionale con la sentenza 15/07/2016, n. 178 (7) si è pronunciata ribadendo il principio secondo cui la legislazione regionale che interviene sulle distanze, interferendo con l'ordinamento civile, è legittima solo in quanto persegua chiaramente finalità di carattere urbanistico, ossia operi nell'ambito della competenza concorrente del "governo del territorio" (8).

Da ultimo, la sentenza n. 41 del 2017 della Corte Costituzionale con riferimento all'art. 8, 1° comma, lett. a), della legge della regione Veneto 16 marzo 2015 n. 4, dichiarato incostituzionale, ha ribadito che per quanto la disciplina delle distanze rientri nella materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenza n. 232 del 2005), quando i fabbricati insistono su di un territorio che può avere, rispetto ad altri, per ragioni naturali e storiche, specifiche caratteristiche, «la disciplina che li riguarda – e in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso – esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici», la cui cura deve ritenersi affidata anche alle Regioni perché attratta all’ambito di competenza concorrente del governo del territorio (9).

Dunque, se da un lato non può essere del tutto esclusa una competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici, dall’altro essa, interferendo con l’ordinamento civile, è rigorosamente circoscritta dal suo scopo − il governo del territorio − che ne detta anche le modalità di esercizio (10) con il punto di equilibrio è nell’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, più volte ritenuto dotato di particolare «efficacia precettiva e inderogabile» (11).

4. I piani attuativi e le previsioni planovolumetriche (sentenza Tar Toscana n. 776/2017)

Il legittimo esercizio della deroga da parte della legislazione regionale e quindi dalle amministrazioni locali, secondo le pronunce della Corte costituzionale, e’ possibile attraverso una disciplina pianificatoria concernente una zona o ambito ricompreso in piani urbanistici attuativi (PUA), assimilabili ai piani particolareggiati o di lottizzazione, riconducibili alla previsione dell’art. 9, ultimo comma del d.m. n. 1444 del 1968, più volte richiamato, potendo ciò avvenire con ogni strumento urbanistico equivalente sotto il profilo della sostanza e delle finalità (12).

Inoltre, secondo la ratio ed anche la lettera del comma 2 dell’art. 9 del citato D.M. occorre che il piano attuativo sia caratterizzato da una progettazione definita degli interventi dettagliata mediante previsioni planovolumetriche (13), con previsioni progettuali che evidenzino congiuntamente la planimetria ed il volume dei fabbricati presi in considerazione attraverso la proiezione in mappa delle relative ombre. Ciò in quanto la previsione derogatoria si fonda sul presupposto che, nel disciplinare la realizzazione ex novo o la sistemazione integrale di un insieme di edifici, un piano di natura esecutiva debba adottare soluzioni progettuali e accorgimenti tecnici in grado di rispettare le esigenze di salubrità ed areazione degli edifici frontistanti con una distanza inferiore a 10 metri, non essendo sufficiente una rappresentazione “solo in pianta” dei fabbricati esistenti al momento della loro redazione e l’indicazione astratta dei volumi realizzabili in ampliamento (14).

Peraltro la medesima ratio pervade la norma che consente la cd. Super-SCIA in alternativa al permesso di costruire per interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, i quali devono contenere precise disposizioni plano-volumetriche oltre che tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti (art. 23, lett. b del TUED) ed altrettanto per gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche (art. 23, lett. c) del T.U.Ed.).

B) La legislazione della Regione Emilia Romagna

1. L’art. 7 ter della L.R. n. 20.2000 e la giurisprudenza (TAR Parma 113/2018)

La legislazione della Regione Emilia Romagna con la L.R. 18 luglio 2014, n.17 ha introdotto i commi 3-bis e 3-ter nell’art. 7 ter della L.R. n. 20.2000, prevedendo che gli edifici esistenti possono essere demoliti e ricostruiti all'interno dell'area di sedime o aumentando la distanza dagli edifici antistanti, anche in deroga ai limiti di cui all'articolo 9 del decreto del ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, mentre gli eventuali incentivi volumetrici riconosciuti per l'intervento possono essere realizzati con la soprelevazione dell'edificio originario anche in deroga agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, nonché con ampliamento fuori sagoma dell'edificio originario laddove siano comunque rispettate le distanze minime tra fabbricati di cui all'articolo 9 del medesimo decreto o quelle dagli edifici antistanti preesistenti, se inferiori.

La norma si dichiara in attuazione dell’art. 2 bis del D.P.R. n. 380/2001, di cui peraltro non richiama il presupposto applicativo dell’inclusione dell’intervento in piani attuativi ai fini dell’esercizio del governo del territorio, anzi prevedendo al comma 3 ter la prevalenza della deroga sulle differenti disposizioni della pianificazione urbanistica comunale, disattendendo i “paletti” di legittimità indicati dalla Corte costituzionale tali per cui:

- le deroghe all'ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite solo a condizione che siano inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio (sentenza n. 231.2016) e comunque solo "nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche" (Corte cost. 20/07/2016, n. 185)

- le deroghe, per essere legittime, devono attenere agli assetti urbanistici e quindi al governo del territorio e non ai rapporti tra vicini isolatamente considerati in funzione degli interessi privati dei proprietari dei fondi finitimi (Corte cost. n. 232 del 2005).

- la deroga è legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di carattere urbanistico, demandando l'operatività dei suoi precetti a "strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio”.

E così il Tar Emilia Romagna, sede di Parma con sentenza n. 113 del 2018 si è pronunciato in merito alla legittimità di un permesso di costruire con il quale veniva assentito un progetto di demolizione e ricostruzione dell’immobile preesistente con un ampliamento del 20% del volume precedente da realizzarsi in sopraelevazione, con deroga ai limiti di distanza ed altezza previsti dal D.M. 1444/1968.

Il ricorso è stato giudicato fondato per la violazione dell'art. 7 ter, comma 3 bis della L.r. Emilia Romagna n. 20/2000 in quanto tale norma regionale, erroneamente invocata dall'amministrazione a supporto della legittimità del titolo edilizio rilasciato con deroga ai limiti di distanza ed altezza previsti dal D.M. 1444/1968, consente interventi di demolizione e ricostruzione nonché sopraelevazione per incentivi volumetrici in deroga alle disposizioni del D.M. 1444 solo con riferimento ad interventi di riqualificazione urbanistica o comunque di trasformazioni espressamente qualificate di interesse pubblico e non con riguardo a singoli e specifici interventi.

L’espresso richiamo “in attuazione dell’art. 2 bis del d.p.r. 380/2001” ed il rispetto delle norme del codice civile integrate dalle disposizioni dell’art. 9 DM 1444/1968, “salvano” la disposizione di legge regionale confermando, come da giurisprudenza della Corte costituzionale – viene espressamente richiamata la sentenza della Corte cost. n. 231/2016 ed il punto di equilibrio rinvenuto nell'ultimo comma dell'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 – che le previsioni regionali e le norme urbanistiche, per non incorrere nella violazione dell’art. 117 Cost. che riserva allo Stato la competenza legislativa sull’ordinamento civile, devono escludere deroghe alle distanze che non riguardino spazi funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali, non essendo possibile la deroga prevista per un singolo edificio, per quanto progettato in conformità alle migliori tecniche antisismiche e di impatto ambientale, atteso che ciò non appare ricompreso nell’assetto di spazi funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali (15).

La sentenza del Tar Parma non ha ritenuto sussistenti i margini per sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 ter comma 3 bis della legge regionale 20/2000 per contrasto con l’art. 117 Cost. - come stabilito, per analoga norma regionale della regione Liguria e della regione Marche, rispettivamente, dalle sentenze 231/2016 e 6/2013 della Consulta - in quanto la disposizione regionale tiene fermo il rispetto delle norme del codice civile da intendersi integrate dalle disposizioni integrative dettate nell’ambito dell’ordinamento civile, comprese quelle di cui all’art. 9 DM 1444/1968 (cfr. Corte Cost. 134/2014).

3. La legge regionale n. 24 del 2017

Alla luce della richiamata ricostruzione normativa e giurisprudenziale occorre verificare se e in che modo la legge regionale Emilia Romagna 21.12.2017 n. 24 persegue l’intento di rendere effettivo il proprio principio cardine volto al contenimento del consumo di suolo (art. 1, comma 2 lett. a), principalmente attraverso la rigenerazione dei territori urbanizzati al fine del miglioramento della qualità urbana ed edilizia di quanto esistente (art. 1, comma 2 lett. b) superando gli ostacoli frapposti dall’edificato e dal rispetto delle inderogabili prescrizioni del D.M. 1444/1968, con interventi in alcuni casi di “sostituzione edilizia” che si inseriscono generalmente in un contesto urbano consolidato che rende difficile il rispetto di limiti di distanza o di altezza, soprattutto in presenza di aumenti di volumetria.

Ciò è previsto e consentito dall’art. 10 della L.R. 24.2017 (16), che titola espressamente “Deroghe al decreto ministeriale n. 1444 del 1968”, norma che, come il precedente art. 7 ter della L.R. n. 20.2000, si dichiara in attuazione dell’art. 2 bis del T.U.Ed. quale norma di principio dettata dalla legge statale (comma 1), come analogo e imprescindibile è il richiamo del rispetto delle norme del codice civile, a cui aggiunge il rispetto della disciplina di tutela degli edifici di valore storico-architettonico, culturale e testimoniale di cui all'articolo 32, comma 7, della legge.

La norma si applica con riferimento:

- agli edifici esistenti nel territorio urbanizzato che siano oggetto degli interventi di riuso e rigenerazione urbana, come indicati dall’art. 7 comma 4 della legge, ovvero di recupero funzionale, di accorpamento o di ogni altra trasformazione espressamente qualificata di interesse pubblico dalla disciplina statale e regionale vigente, per i quali l’intervento demolitivo e ricostruttivo può avvenire nell’ambito della stessa area di sedime anche in deroga ai limiti di cui all'articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 (17), fermo il limite di tre metri previsto dall’art. 873 del codice civile.

- agli incentivi volumetrici che possono essere realizzati con la soprelevazione dell'edificio originario, anche in deroga agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, salvo che in caso di ampliamento fuori sagoma dell'edificio originario siano comunque rispettate le distanze minime tra fabbricati di cui all'articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 o quelle dagli edifici antistanti preesistenti, se inferiori, con applicazione del medesimo principio per gli interventi di addensamento o sostituzione urbana previsti dal PUG in conformità alla presente legge.

Gli interventi ai quali si applicherebbe la deroga fanno parte del territorio urbanizzato consistenti, ex art. 7 comma 4, negli interventi di riuso e rigenerazione urbana che, al di là del rinvio ad atti regionali di coordinamento tecnico di dubbia legittimità (art. 7, comma 5), riguardano le tre tipologie di intervento di “qualificazione edilizia”, di “ristrutturazione urbanistica”, normalmente caratterizzata dalla pluralità di interventi da realizzare - salvo che per l’estensione introdotta dall’art. 13 della L.R. 24/17 a interventi di costruzione e demolizione anche di un solo edificio (18) - di “addensamento o sostituzione”, risultando solo quest’ultimo assimilabile ad un piano operativo o particolareggiato e non afferente un singolo immobile.

La legge regionale n. 24/2017 riconosce agli “Accordi operativi” (oltre che ai piani attuativi di iniziativa pubblica, per particolari ambiti, ex art. 38, comma 17) il valore e gli effetti dei piani urbanistici attuativi che attuano le previsioni del PUG relative al riuso e alla rigenerazione del territorio urbanizzato e alle nuove urbanizzazioni (art. 38), per i quali il Comune può fornire indicazioni di massima di carattere progettuale e localizzativo, da osservarsi nella predisposizione del progetto urbano di cui al comma 3, lettera a), ai fini della stipula degli accordi operativi e delle relativa convenzione urbanistica con le garanzie finanziarie che il privato si impegna a prestare per assicurare la realizzazione e la cessione al Comune delle opere pubbliche previste dal progetto urbano di cui alla lettera a), similmente ad un tradizionale piano di lottizzazione.

Per cui, se la deroga ai limiti del D.M. 1444/68 almeno per quanto concerne le distanze tra fabbricati, è inserita negli accordi operativi quali piani attuativi con precise disposizioni plano-volumetriche, nulla questio. Diversamente, si espongono ad azioni avanti il Giudice amministrativo le amministrazioni che, in forza della citata normativa regionale, consentano deroghe alla distanza tra fabbricati per interventi diretti su singoli edifici, anche se in applicazione dell’art. 10 comma 3 della stessa L.R. 24/17, che riproduce letteralmente il comma 3 ter dell’art. 7 ter della L.R. n. 20.2000, ed ai sensi del quale è prevista la “prevalenza delle disposizioni di deroga dettate dai primi due commi dell’art. 10 sulle diverse previsioni sulla densità edilizia, sull'altezza degli edifici e sulle distanze tra fabbricati previste dagli strumenti di pianificazione urbanistica vigenti alla data di entrata in vigore della legge”.

A tale norma, di carattere edilizio e non urbanistico come invece è qualificabile l’art. 2 bis del T.U.Ed - di cui pur l’art. 10 in commento si dichiara attuativo - consegue la sottrazione della regolazione delle distanze tra fabbricati al potere pianificatorio e quindi all’esercizio strategico del governo del territorio, oltre che all’ordinamento civile, salvo quanto previsto dal codice civile, con evidenti dubbi di costituzionalità in quanto non tiene conto delle pronunce della Corte costituzionale che ha più volte riconosciuto nell’ultimo comma dell’art. 9 del D.M. n. 1444/68 il “punto di equilibrio” tra le previsioni regionali e le norme urbanistiche, e la riserva allo Stato della regolazione dell’ordinamento civile.

Principio da ultimo confermato dalla recente citata sentenza del Tar Emilia Romagna, sezione di Parma, n. 113 del 2018, sopra richiamata, che ribadisce, con riferimento all’analogo art. 7 ter, comma 3 bis della L.n. 20.2000, che l’unica chance rigenerativa di un esistente di cui si vuole mantenere le caratteristiche originarie è perseguibile mediante l’inserimento dell’intervento in strumenti urbanistici funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio, non essendo sufficiente il concorso del proponente alla realizzazione di altri obiettivi, ancorchè riferibili alla qualità urbana ed ecologico-ambientale fissati dal piano (19).

Analoga considerazione in merito ai dubbi di costituzionalità, a maggior ragione, per quanto prevede l’art. 9 comma 1 lett. c) sugli “standard urbanistici differenziati”, che demanda ad un “atto di coordinamento tecnico”, quindi ad una norma regolamentare, di differenziare le prestazioni da realizzare nel territorio urbanizzato conformandosi al principio per cui, per quanto qui interessa e sempre nel caso di interventi su singoli edifici, “i permessi di costruire convenzionati relativi agli interventi di ristrutturazione urbanistica, non sono tenuti all'osservanza dei limiti di densità edilizia e di altezze degli edifici di cui agli articoli 7 e 8 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444”.

Nella norma in commento (art. 10), non impugnata dal Presidente del Consiglio dei Ministri nonostante le numerose pronunce della Corte costituzionale di illegittimità di analoghe norme regionali per la violazione della competenza esclusiva statale, ex art. 117, comma 2, lett. l), Cost. - lasciando all’iniziativa del privato leso sollevare la questione di legittimità ritenuta rilevante dal giudice adito (20) - si può intravedere una forzatura del legislatore regionale volta a perseguire una esigenza ed una politica legislativa peraltro sentita anche da altre Regioni (21), che affermano l’idea della rigenerazione urbana come processo complesso che va oltre il recupero ed il riuso, e quindi “al fine di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate i comuni individuano ambiti di territorio su cui promuovere programmi di rigenerazione urbana, sociale ed architettonica tramite azioni partecipative e di concerto con gli operatori privati” (22).

Obiettivi altrimenti irraggiungibili senza deroga ai limiti di distanze, di densità ed altezze del territorio urbanizzato, potendo cogliere nell’art. 10 in commento il sollecito ad un intervento del legislatore statale (23) che estenda tale possibilità ai singoli interventi, ove ciò sia ritenuto anche di pubblico interesse.

Note

[1] Ex multis, da ultimo Cons. Stato Sez. IV, 05/02/2018, n. 702.

 

[2] Corte costituzionale sentenze nn. 232/2005, 114/212 e 6/2013.

 

3] La legge regionale censurata attribuiva efficacia di piano particolareggiato alla procedura di individuazione degli edifici (da concludere con approvazione consiliare) oggetto della deroga.

[4] Corte costituzionale, sentenza n. 114 del 2012; ordinanza n. 173 del 2011; sentenza n. 232 del 2005.

[5] La sentenza dichiara infondato il ricorso avverso l’art. 27, comma 2, ultimo periodo, della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2011, n. 26 nel testo sostituito dall’art. 16 della legge della Regione Basilicata 16 aprile 2013, n. 7 affermando che “L’esplicito richiamo al codice civile contenuto nell’art. 29, comma 6, lettera g), della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013 deve essere inteso come riferito all’intera disciplina civilistica di cui il citato decreto ministeriale è parte integrante e fondamentale. Così interpretata, la disposizione regionale censurata risulta pienamente rispettosa della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia civilistica dei rapporti interprivati, appunto perché essa impone il rispetto del codice civile e di tutte le disposizioni integrative dettate in tema di distanze nell’ambito dell’ordinamento civile, comprese quelle di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968”.

 

[6] L’ art. 2-bis del T.U.Ed. avente ad oggetto “Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati”, articolo introdotto dall'art. 30, comma 1, lettera 0a), legge n. 98 del 2013, prevede che “Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali.

[7] La sentenza 15/07/2016, n. 178 è intervenuta sulla legge della Regione Marche 13 aprile 2015, n. 16, dichiarata illegittima costituzionalmente.

 

[8] Anche Corte cost., 20/07/2016, n. 185 dichiara costituzionalmente illegittimo l'art. 2, comma 1, lett. g), della legge della Regione Molise 14 aprile 2015, n. 7, in quanto espressamente introduceva, per gli ampliamenti in sopraelevazione degli edifici esistenti, la possibilità di derogare alle distanze fissate dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968, poiché la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella materia dell'«ordinamento civile», di competenza esclusiva dello Stato, mentre alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga al solo fine di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio. Medesimi principi affermati dalla sentenza della Corte cost. 03/11/2016, n. 231 che dichiara costituzionalmente illegittimo l'art. 6, comma 6, della legge della Regione Liguria 7 aprile 2015, n. 12.

 

[9] Si veda sempre la sentenza Corte cost. n. 232 del 2005.

[10] Corte costituzionale, sentenza n. 6 del 2013; nello stesso senso, da ultimo, anche le sentenze n. 231, n. 189, n. 185 e n. 178 del 2016.

 

[11] La legittimità delle previsioni normative regionali di distanze in deroga a quelle stabilite dalla normativa statale è stata quindi riconosciuta solo «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche» (ex plurimis, sentenza n. 231 del 2016) «se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 134 del 2014; analogamente sentenze n. 178, n. 185, n. 189, n. 231 del 2016), poiché «la loro legittimità è strettamente connessa agli assetti urbanistici generali e quindi al governo del territorio, non, invece, ai rapporti tra edifici confinanti isolatamente considerati» (Sentenza n. 114 del 2012; nello stesso senso, sentenza n. 232 del 2005).

 

[12] Il principio viene confermato dalla giurisprudenza, in quanto “il piano di governo del territorio, quale strumento urbanistico generale, non è abilitato a modificare ex se la disciplina generale in tema di distanze, poiché la deroga alle distanze è riservata ai soli strumenti urbanistici attuativi (Cons. Stato, sez. VI, 13.12.2017 n. 5863).

 

[13] Si veda Corte Cost. sentenza n. 6 del 2013.

Inoltre “Affinché la deroga possa operare è, quindi, necessario che il piano attuativo giunga ad un livello di dettaglio tale “da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni considerate come fossero un edificio unitario” (Corte Cost. 24/02/2017 n. 41). Quindi la deroga è ammessa solo, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche (Cons. Stato Sez. IV, 01/06/2018, n. 3329).

 

[14] In al senso Tar Toscana n. 776/2017. Si veda anche TAR Brescia 730/2011.

 

[15] In definitiva, la sentenza ribadisce il principio che le deroghe all'ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio (sentenze n. 6 del 2013 e n. 134 del 2014) e all’interno di un comparto di tal genere la deroga alle distanze impedisce la creazione di contrasti con la proprietà privata preesistente, rispondendo all’interesse pubblico alla riqualificazione urbanistica, consentendo interventi di demolizione e ricostruzione, nonché sopraelevazione per incentivi volumetrici in deroga alle disposizioni del D.M. 1444.

 

[16] L’art. 10 della L.R. n. 24/2017 prevede:

comma 1. In attuazione dell'articolo 2-bis del D.P.R. 380/2001, gli edifici esistenti nel territorio urbanizzato che siano oggetto degli interventi di riuso e rigenerazione urbana individuati dall'articolo 7, comma 4, della presente legge ovvero di recupero funzionale, di accorpamento o di ogni altra trasformazione espressamente qualificata di interesse pubblico dalla disciplina statale e regionale vigente, possono essere demoliti e ricostruiti, all'interno dell'area di sedime o aumentando la distanza dagli edifici antistanti, anche in deroga ai limiti di cui all'articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, fermo restando il rispetto delle norme del codice civile e della disciplina di tutela degli edifici di valore storico-architettonico, culturale e testimoniale di cui all'articolo 32, comma 7, della presente legge. In caso di demolizione di edifici costruiti in aderenza a quelli del vicino o con comunione del muro divisorio, la ricostruzione deve avvenire nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, fatta salva l'ipotesi della fedele ricostruzione.

comma 2. Gli eventuali incentivi volumetrici riconosciuti per l'intervento possono essere realizzati con la soprelevazione dell'edificio originario, anche in deroga agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, nonché con ampliamento fuori sagoma dell'edificio originario laddove siano comunque rispettate le distanze minime tra fabbricati di cui all'articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 o quelle dagli edifici antistanti preesistenti, se inferiori. Il medesimo principio trova applicazione per gli interventi di addensamento o sostituzione urbana previsti dal PUG in conformità alla presente legge.

comma 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 prevalgono sulle diverse previsioni sulla densità edilizia, sull'altezza degli edifici e sulle distanze tra fabbricati previste dagli strumenti di pianificazione urbanistica vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

[17] La norma fa salvo il caso di demolizione di edifici costruiti in aderenza a quelli del vicino o con comunione del muro divisorio, ove ricostruzione deve avvenire nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, fatta salva l'ipotesi della fedele ricostruzione.

 

[18] Negli interventi di ristrutturazione urbanistica l’art. 13 introduce la costruzione e successiva dismissione e demolizione dell'edificio originario, per consentire la continuità d'utilizzo del patrimonio edilizio esistente fino alla conclusione dei lavori di costruzione degli edifici destinati a sostituirli. Nella nuova costruzione possono essere realizzate le volumetrie aggiuntive stabilite ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettere c), d) ed e). Si tratta di interventi su singoli fabbricati non oggetto di pianificazione attuativa o soggetti a permesso di costruire convenzionato ex art. 28 bis del Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001). - con evidenti problematiche di legittimità del relativo titolo edilizio, per violazione dell’art. 6 del D.M. 1444/1968 e dell’art. 2 bis del T.U.ed. (si veda la sentenza del TAR Parma n. 113/2018)- con cui è possibile evitare la formazione degli strumenti urbanistici attuativi (piano di lottizzazione, particolareggiato, di recupero e così via), cui è normalmente demandata la pianificazione di dettaglio delle aree sprovviste o non sufficientemente dotate di infrastrutture, sviluppati in particolare rispetto agli interventi edilizi circoscritti a singoli immobili o alla ricucitura di tratti urbani non sufficientemente urbanizzati.

 

[19] In tal senso si è espressa la sentenza del TAR Parma n. 113/2018, escludendo la deroga per un intervento per quanto progettato in conformità alle migliori tecniche antisismiche e di impatto ambientale, non appare ricompresa nell’assetto di spazi funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali).

 

[20] L’art. 17 della L.R. Emilia Romagna n. 23/2004 prevede la cd. Sanatoria giurisprudenziale che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima con sentenza 11.5.2017 n. 107 con riferimento alla legge regionale Campania n. 6/2016 e con sentenza 29.5.2013 n. 101 con riferimento alla legge regionale Toscana n. 4/2012.

 

[21] Legge regionale Lombardia n. 31/2014, art. 2 comma 1 lett e), recante “Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e la riqualificazione del suolo degradato”. Si veda anche La LR. Puglia n. 21/2008, art. 1 recante “Norme in materia di rigenerazione urbana”, la L.R. Toscana n. 65/2014 con art. 125, comma 1 riferito alla “rigenerazione urbana come alternativa strategica al nuovo consumo di suolo” ed al fine di “riqualificare il contesto urbano attraverso un insieme sistematico di opere”. Ed ancora la L.R. Marche n. 22.2011, art. 3 e la L.R. Umbria n. 1/2015 art. 74.

[22] L.R. Piemonte n. 20.2009, art. 14.

 

[23] Altre volte le leggi regionali hanno anticipato l’intervento del legislatore statale, come l’inclusione dell’intervento di demolizione e ricostruzione nell’ambito della ristrutturazione edilizia da parte della cd. legge obiettivo (legge n. 443 del 21 dicembre 2001) anticipato dalla legge regionale Toscana 22/1999.

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Dissensi: pubblicazione a cura dell’Associazione “Gruppo Bolognese di Studiosi del Diritto Edilizio e Urbanistico”
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