Sull’ammissibilità della imposizione di prescrizioni di dettaglio su singoli immobili da parte del RUE
di Domenico Lavermicocca
27/11/2017
Sommario: 1. Il tema; 2. Il regolamento edilizio. Contenuti e limiti; 3. La regolamentazione edilizia ed i limiti al diritto di proprietà; 4. La giurisprudenza sul punto; 5. L’evoluzione normativa; 6. Conclusioni
1. Il tema
Oggetto della presente disamina sono i limiti entro i quali può essere esercitato il potere regolamentare dei Comuni in materia edilizia, con particolare riferimento alla possibilità di dettare delle prescrizioni puntuali che possano riguardare un solo immobile (o un complesso unitario di edifici).
Lo spunto per l’approfondimento della questione è offerto da una recente pronuncia dal Tar Toscana (sentenza n. 14 del 9.1.2017), relativa ad un compendio immobiliare in avanzato stato di degrado e pericolante, per il cui recupero la proprietà presentava un progetto di Piano di recupero con correlata istanza di Variante al Piano Regolatore, giacché lo strumento urbanistico non consentiva la demolizione dei fabbricati fatiscenti ed il recupero della capacità edificatoria proveniente dalle demolizioni.
A seguito di una delibera di Giunta che prevedeva la possibilità di approvare varianti al PRG volte al recupero di immobili interni della città "che versano in condizioni di evidente degrado fisico oltre che talvolta di conclamato degrado sociale che influenza negativamente il livello di qualità e vivibilità del contesto", il Comune approvava il nuovo Regolamento urbanistico comunale, che recava però previsioni non conformi al Piano di recupero e alla variante in precedenza presentati dalla proprietà.
2. Il regolamento edilizio. Contenuti e limiti
2.1. Il regolamento edilizio ha origine nei preesistenti regolamenti d'ornato e di polizia locale di epoca pre-unitaria (legge comunale provinciale dell’8 ottobre 1859 n.3702) quale iniziale ed unica fonte di disciplina dell’attività edilizia, non limitata solo alla definizione delle regole sulle modalità costruttive ma comprensiva di disposizioni volte al rilascio dei titoli abilitativi e finalizzate a definire l’organizzazione degli organi consultivi.
Il previgente art. 33 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica), abrogato dall’art. 136 del T.U., elencava minutamente le materie su cui poteva esercitarsi il potere regolamentare locale, con un contenuto inclusivo di oggetti di natura diversa, di carattere anche urbanistici (soprattutto nei Comuni privi di tale regolamentazione) oltre che igienico-sanitari, ed uno sconfinamento rinvenibile nella incerta linea di separazione dalle N.T.A. dei Piani Regolatori Generali [1], e con le leggi urbanistiche regionali (ad es. L.R. Emilia Romagna n. 20/2000, art. 29) che hanno in alcuni casi ampliato, sempre in senso urbanistico, il contenuto dei regolamenti edilizi.
La progressiva erosione dei contenuti attribuiti a tale strumento di regolazione del costruire – oltre che con l’espunzione dei menzionati aspetti urbanistici, con la definizione degli standard edilizi da parte della norma statale (tra l’altro, art. 41 quinquies, comma 8 della L.U., introdotto dalla l. n. 765/1968, attuato con il D.M. n. 1444/1968) – si compie infine con l’attuale normazione dettata dal T.U. dell’edilizia (D.P.R. n. 380/2001, d’ora innanzi TUED) per il quale i Comuni disciplinano l’attività edilizia (art. 2, comma 4 del TUED) nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa (articolo 3 D. Lgs. n. n. 267/2000) con il regolamento dagli stessi adottato ed ora “limitato” [2] a “… contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi” (art. 4, comma 1 TUED).
L’attuale normativa sottolinea il carattere strettamente tecnico del regolamento edilizio, rivolto sostanzialmente, e necessariamente, al recepimento della normativa statale dettata nelle materie indicate nel citato articolo, come risulta evidente dalle ultime modifiche introdotte, condizionanti anche il conseguimento del titolo abilitativo edilizio, rivolte a soddisfare le esigenze di standard energetici con la necessaria predisposizione all'allaccio per la installazione di infrastrutture elettriche per la ricarica dei veicoli (comma 1-bis dell’art. 4 TUED).
Conseguentemente la disciplina statale prevede che il contenuto della regolamentazione edilizia comunale riguardi il solo facere costruttivo, posto che al Regolamento edilizio compete la disciplina degli interventi di trasformazione fisica, funzionale e di conservazione delle opere edilizie. Uno strumento che si integra e che soggiace alle previsioni del Piano regolatore o del Piano strutturale i quali si occupano invece degli aspetti previsionali (destinazioni d'uso ammesse, volumetrie consentite, ecc.), rispetto a cui, con il regolamento edilizio, vengono definiti i parametri tecnici da applicare nell’edificazione.
La disciplina regolamentare comunale non può quindi derogare i principi fondamentali della materia come definiti e qualificati dalla normativa statale atteso il principio di legalità che attribuisce carattere secondario alla normativa regolamentare, posto che il relativo potere - in generale ma anche quello esercitato dagli Enti locali pur dopo la riforma del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale n. 3.2001) – deve trovare un fondamento positivo nella legge ed operare nell’ambito dei limiti da questa dettati (art. 4 del T.U. Ed.).
2.2. Nella realtà l’esercizio del potere regolamentare in edilizia spesso ha esorbitato i limiti dettati dalla legge statale, non solo per quanto concerne la definizione delle categorie edilizie di intervento, con la inclusione di trasformazioni incoerenti con la norma nazionale ma, ad esempio, anche con atti che regolano le sanzioni pecuniari edilizie e paesaggistiche [3], o contenenti disposizioni afferenti la storicizzazione di abusi edilizi, che conseguentemente non si ritengono sanzionabili (art. 100 del RUE del Comune di Bologna). Ciò al pari di quanto avviene quando alcune norme regionali codificano il principio dell’affidamento del privato in relazione ad un intervento difforme in relazione al quale il Comune, in sede di rilascio dell’agibilità, non sia intervenuto in modo sanzionatorio (art. 19 bis, comma 1-ter L.R. Emilia Romagna n. 23/2004, come modificata dalla .L.R. n. 12/2017). Si tratta di disposizioni che appaiono prive del potere legislativo e regolamentare da cui dovrebbero essere legittimate, con evidenti dubbi di legittimità, e che certamente incidono sul diritto soggettivo del privato.
Ne segue che nel rispetto della disciplina statale e delle norme che, pur nell’ambito della legislazione concorrente Stato-Regioni, vengono qualificate come principi fondamentali della materia, un primo limite al potere regolamentare, attese le conseguenze sulle prerogative del diritto di intervento edificatorio del privato sul proprio bene, consiste – come deciso dalla Corte costituzionale per la normativa regionale [4] – nel divieto di introdurre definizioni delle categorie di intervento edilizio differenti da quelle dettate dalla normativa statale secondo l’art. 3 e 10 del T.U. ed., atteso che "Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi" (art. 3, comma 2 TUED).
Inoltre è dovuto il rispetto delle norme di piano che recano precise scelte urbanistiche che vanno ad incidere radicalmente sul tessuto urbano ed ambientale delle zone interessate, assunte dall'Ente locale nell'esercizio del suo istituzionale potere di governo del territorio, di cui il regolamento costituisce applicazione sotto il profilo edilizio senza poter incidere sulle previsioni pianificatorie adottate.
Ne segue che, ad esempio, se le norme di piano consentono in una determinata zona o ambito la realizzazione di un intervento di ristrutturazione di fabbricati che versano in uno stato di degrado e fatiscenza, non potrà il Regolamento edilizio impedire o limitare tale intervento edilizio, ritenendolo assentibile nel solo restauro e risanamento conservativo.
3. La regolamentazione edilizia e i limiti al diritto di proprietà.
L’esercizio del diritto di proprietà privata, in ogni sua insita prerogativa con riferimento alla conformazione urbanistica ed edilizia del bene, ha subito un progressivo ridimensionamento, in alcuni casi fino ad un vero e proprio esproprio (sostanziale), a seguito di una normazione, anche regolamentare, che, incurante delle pronunce della Corte costituzionale e del diritto europeo, ha attribuito alla Pubblica Amministrazione il potere di incidere, anche in assenza di presupposti normativi, sul contenuto intrinseco a tale diritto.
Oltre al disconoscimento di fatto dello ius aedificandi come prerogativa inerente la proprietà privata, sempre più evidente è la tendenza a regolare ciascun aspetto dell’edificazione per ottemperare alle innumerevoli norme che impongono i dettagli del costruire e che hanno limitato, in alcuni casi fino ad annullare, la volontà del privato ormai sacrificata nel nome di prevalenti ed a volte indefinibili interessi generali (tra gli altri, sicurezza, risparmio energetico, igiene).
Peraltro ciò può avvenire solo nel rispetto del carattere astratto e generale delle norme che regolano l’esercizio dell’attività edilizia, quali precetti di carattere tecnico sul come costruire, posto che le norme che regolano il facere privato “devono essere contraddistinte dai requisiti della generalità e dell’astrattezza, e tali principi debbono essere intesi correttamente come idoneità alla ripetizione nell’applicazione (generalità) e come capacità di regolare una serie indefinita di casi” (Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2012 n. 9) [5].
La definizione delle categorie di intervento costituisce il contenuto e nello stesso tempo un limite non valicabile, sancito dalla legislazione statale, oltre il quale non è possibile che la regolamentazione edilizia comunale possa spingersi per modificare contenuti che sono e devono essere unici su tutto il territorio nazionale, a garanzia della certezza del diritto che ciascun proprietario ha di intervenire sul proprio bene [6].
Ciò anche per evitare che prescrizioni di dettaglio determinino l’effetto di comprimere un diritto riconosciuto a livello sovranazionale, quale principio da cui la normazione nazionale non può prescindere [7], attese le pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo soprattutto con riguardo a forme surrettizie di esproprio della proprietà in assenza di un adeguato indennizzo, potendo nel rispetto dei medesimi principi rientrare il giudizio su norme regolamentari che, di fatto, incidono e svuotano di contenuto il diritto di proprietà.
Ne consegue che la definizione delle regole afferenti l’edificazione contenute nel regolamento edilizio devono essere generali e non possono riguardare l'assetto puntuale riferito ad un singolo edificio (o complesso unitario di edifici) imponendo limiti precisi alle modalità di esecuzione di un intervento edilizio la cui categorizzazione è avvenuta a livello statale [8]. La qual cosa accade anche nel caso in cui vengano previsti dalla regolamentazione edilizia interventi che non tengono conto dell’effettivo stato di fatto degli immobili su cui il proprietario intende intervenire, con l’illegittimità conseguente ad una illogicità ictu oculi evidente.
4. La giurisprudenza sul punto
I principi sopra richiamati hanno trovato applicazione nella recente sentenza del T.A.R. Toscana, Sez. I, 9 gennaio 2017, n. 14, che ha giudicato illegittimo il Regolamento Edilizio Urbanistico di un Comune toscano nella parte in cui recava prescrizioni ritenute lesive in merito alla realizzazione del piano attuativo di riqualificazione, atteso che, in tale caso, la disposizione impugnata non atteneva alla configurazione dell'assetto complessivo della zona risultante dalla scheda normativa, o ai limiti dimensionali degli interventi consentiti (non sottoponibili ad un giudizio se non per palese illogicità) quanto, piuttosto, all'assetto puntuale, riferito cioè ad un singolo edificio (o complesso unitario di edifici) che la norma impugnata sostanzialmente configurava imponendo limiti precisi alle modalità di esecuzione dell'operazione di ristrutturazione e recupero del bene in questione.
Si trattava quindi di una norma regolamentare che, con una così puntuale definizione degli interventi ammissibili sul manufatto, oltre che porsi in contrasto con gli elementi fattuali del caso concreto, finiva con il “comprimere irragionevolmente l'esercizio di scelte o facoltà inerenti il diritto dominicale del proprietario degli immobili”, a ciò conseguendo l'illegittimità delle relative prescrizioni.
In definitiva la disposizione gravata valicava il limite delle definizioni delle categorie di intervento edilizio dettate della norma statale con riferimento agli interventi di restauro e risanamento conservativo ed agli interventi di ristrutturazione edilizia, così violando il principio dettato dal sopra citato art. 3, comma 2, TUED.
5. L’evoluzione normativa
Nel tentativo di porre un argine alle differenti regolamentazioni edilizie adottate dalle varia amministrazioni comunali, con evidenti disparità di trattamento e previsioni illegittimamente puntuali, l’attuale legislazione ha fatto un passo ulteriore nello stabilire regole unitarie sul territorio nazionale, seguendo quanto già veniva previsto dall’art. 25 della L. n. 47/85 per il quale, nella vigenza del precedente assetto costituzionale, le Regioni dovranno “definire criteri ed indirizzi per garantire l’unificazione ed il coordinamento dei contenuti dei regolamenti edilizi” [9].
L’art. 17 bis della L. n. 164/2014, di conversione del d.l. n. 133/2014 (cd Sblocca Italia) nel più ampio disegno di riforma e semplificazione della P.A. ha introdotto il comma 1-sexies nell’art. 4 del TUED che prevede, quale livello essenziale delle prestazioni concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale [10], la formalizzazione di un regolamento edilizio-tipo, proprio a sancire che le regole definite a livello statale non solo conformano il diritto di proprietà assoggettandolo a superiori interessi ma nello stesso tempo conferma che quel diritto non possa essere sminuito, degradato o eliminato da un atto comunale, nell’esercizio di un potere regolamentare i cui contorni risulterebbero ora meglio definiti [11].
L’intesa fa parte dell’insieme di norme volte ad unificare la disciplina, con la previsione di definizioni uniformi relative ai parametri urbanistici ed edilizi stabiliti con apposito atto di coordinamento tecnico, con la presentazione delle istanze edilizie unicamente attraverso l’utilizzo della modulistica edilizia unificata, con la qualificazione delle opere edilizie e della individuazione della categoria di intervento a cui le stesse appartengono, in conformità al glossario unico approvato ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222 [12], come attualmente previsto dall’art. 2-bis L.R. Emilia Romagna n. 12/2017.
La previsione che le disposizioni del Regolamento edilizio unico siano obbligatorie e vincolanti sembra accentuare l’erosione del potere regolamentare in tale materia attribuita dalla Costituzione alle amministrazioni comunali, costituendo un possibile vulnus all’autonomia dei Comuni a discapito di realtà differenziate tra i singoli territori. Al riguardo, peraltro, la Corte costituzionale con la sentenza n. 125 del 2017, ha giudicato legittimo l’art. 17 bis della L. n. 164/2014, in quanto pur ritenendo che l’intesa è volta a predisporre uno schema di regolamento edilizio tipo che “semplifichi e uniformi le definizioni tecniche, non sempre coincidenti nei vari regolamenti comunali, ed i criteri di calcolo dei parametri rilevanti sul piano urbanistico ed edilizio”, rimane fermo che “spetterà ai regolamenti edilizi, approvati dai comuni sulla base dello schema in questione, come recepito da ciascuna Regione, indicare in particolare i requisiti tecnici per la costruzione degli edifici”.
6. In conclusione
In attesa dell’applicazione da parte dei Comuni del regolamento tipo, si conferma che il Regolamento edilizio, nei limiti di contenuti come evidenziati, nell’attuale legislazione svolge una funzione di recepimento della disciplina tecnica relativa al facere costruttivo dettata a livello statale [13] con riferimento a categorie generali e rivolte ad immobili che sono accomunati dal ricadere nella medesima zona o ambito territoriale, senza possibilità di riguardare l'assetto puntuale riferito ad un singolo edificio (o ad un complesso unitario di edifici), imponendo limiti alle modalità di esecuzione di un intervento edilizio in difformità dalle categorizzazioni stabilite a livello statale.
Note
[1] Come ricostruito da G. PAGLIARI, in Corso di diritto urbanistico, Milano 2010, 403, “nel disegno del legislatore della L.U. del 1942, il regolamento edilizio doveva disciplinare gli aspetti edilizi, cioè i profili giuridico-amministrativi dell’attività edilizia, mentre le N.T.A. erano chiamate ad assolvere la funzione prevalentemente tecnica, dando regolamentazione agli obiettivi e ai contenuti strategici della pianificazione urbanistica. La linea di separazione era concettualmente chiara, ma praticamente quasi impossibile da rispettare, cosicché la promiscuità è stata sempre crescente a favore delle N.T.A. e a danno del regolamento edilizio”.
[2] Ciò, nonostante il processo di affrancamento della potestà normativa comunale dall’ingerenza della legislazione statale e regionale abbia avuto un riferimento nella riforma del Titolo V della Costituzione nel quale si esprime una “una chiara scelta in favore di un pluralismo istituzionale “paritario” (sul tema M. CAMMELLI, I raccordi tra i livelli istituzionali, ne Le Istituzioni del Federalismo n. 6-2001, 1079 ss.), con la previsione della valenza generale del principio di sussidiarietà verticale che ha portato con sé l’affermarsi di un rapporto di competenza che ha superato il previgente sistema di gerarchia tra le fonti, consentendo al Comune di esercitare pienamente il ruolo di garante delle esigenze e degli interessi della comunità amministrata.
[3] Si veda B. GRAZIOSI, Note critiche sui regolamenti comunali concernenti le sanzioni pecuniarie edilizie e paesaggistiche e sulla relativa giurisdizione di merito del giudice amministrativo, in Riv. Giur. Ed., 2017, II, 3.
[4] Secondo la giurisprudenza costituzionale, la definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime dei titoli abilitativi costituisce principio fondamentale della materia concorrente del «governo del territorio», vincolando la legislazione regionale di dettaglio; sicché, pur non essendo precluso al legislatore regionale di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali, tale esemplificazione, per essere costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia (Corte Cost. n. 231/2016 ed in precedenza, tra le tante, sentenze n. 259 del 2014, n. 171 del 2012; n. 309 del 2011, n. 303 del 2003, consultabili su www.giurcost.it). La sentenza n. 231/2016 ha inoltre precisato che l’omogeneità funzionale della comunicazione preventiva (asseverata o meno) rispetto alle altre forme di controllo delle costruzioni (permesso di costruire, DIA, SCIA), deve indurre a riconoscere alla norma che la prescrive - al pari di quelle che disciplinano i titoli abilitativi edilizi - la natura di principio fondamentale della materia del «governo del territorio», in quanto ispirata alla tutela di interessi unitari dell’ordinamento e funzionale a garantire un assetto coerente su tutto il territorio nazionale, limitando le differenziazioni delle legislazioni regionali. Ciò vale evidentemente, ed a maggior ragione, per gli atti regolamentari emessi dai Comuni.
[5] In giustizia-amministrativa.it.
[6] Si veda la giurisprudenza della Corte Costituzionale, riportata nella precedente nota n. 4 e consultabile su www.giurcost.it.
[7] L’art. 1 del primo Protocollo aggiuntivo della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ratificato dall’Italia con legge 4.8.1955 n. 848 ed in vigore dal 21.9.1955, stabilisce che “non si può essere privati della proprietà se non per cause di utilità pubblica ed alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”.
[8] La giurisprudenza insegna che in tema di disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, vanno distinte le prescrizioni che, in via immediata, stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) e le altre regole che, più in dettaglio, disciplinano l'esercizio dell'attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze, sull'osservanza di canoni estetici, sull'assolvimento di oneri procedimentali e documentali, regole tecniche sull'attività costruttiva, ecc.). Sul punto, tra le tante, Cons. Stato Sez. IV, 17 novembre 2015 n. 5235 e nei medesimi termini Cons. Stato Sez. VI, 30 novembre 2016 n. 5042; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 7 febbraio 2017 n. 215; T.A.R. Veneto Sez. III, 27 giugno 2016 n. 685, tutte in giustizia-amministrativa.it.
[9] Come esempi di norme regionali disciplinanti i regolamenti edilizi-tipo, in applicazione della citata normativa statale, si vedano la L.R. Piemonte n. 19.1999 o la L.R. Puglia n. 3.1999.
[10] La Corte costituzionale con la sentenza n. 125 del 2017, ha giudicato legittimo l’art. 17-bis della L. n. 164/2014 di conversione del d.l. n. 133/2014, in relazione alla censurata determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili, e sociali, atteso che “lo Stato, nell’esercizio della propria competenza, ha fissato le modalità di svolgimento di «prestazioni amministrative» di cui beneficiano i cittadini che entrano in contatto con al P.A., mentre la norma impugnata regola un procedimento normativo e non riguarda prestazioni esigibili dai singoli individui”. La norma è stata esaminata da S. TUCCILLO, Il regolamento edilizio-tipo tra esigenze di uniformità e di salvaguardia delle identità territoriali, in Riv. Giur. Ed., 2017, II, 134 ss.
[11] L’uniformazione della disciplina edilizia è assicurata attraverso l’obbligo dell’adozione da parte dei Comuni di regolamenti comunali che riunifichino in un unico provvedimento le disposizioni regolamentari in campo edilizio di loro competenza, nell’osservanza di quanto previsto dall’intesa tra il Governo, le Regioni e i Comuni sancita il 20 ottobre 2016 in attuazione dell’articolo 4, comma 1-sexies, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001.
Lo schema di regolamento edilizio tipo si compone di una parte in cui sono dettati i principi ed i criteri generali per attuare gli obiettivi di semplificazione e uniformazione, e con allegati un elenco contenente n. 42 definizioni uniformi (allegato A) e la raccolta delle disposizioni sovraordinate in materia edilizia (allegato B).
[12] Anche il glossario unico è rivolto alla “esigenza diffusamente avvertita, di garantire all’attività edilizia un regime giuridico omogeneo sull’intero territorio nazionale, con eventuale pericolo di sovrapposizioni tra il glossario unico ed il regolamento edilizio tipo. In tal senso E. BOSCOLO, I decreti attuativi della legge Madia: liberalizzazioni e ridisegno del sistema dei titoli edilizi, in Riv. Giur. Ed., 2016, II, 601, con possibile vulnus all’autonomia dei singoli comuni sancita dall’art. 117 comma 6 Cost e dagli artt. 3 e 7 del T.U. Enti locali. Cosi E. BALLARI, Regolamento edilizio unico: rapporti con la disciplina regionale e locale, in Il Piemonte delle Autonomie, n. 3/2016.
[13] La stessa legge regionale urbanistica in corso di approvazione dall’Assemblea legislativa delle Regione Emilia Romagna, prevede un PUG-Piano Urbanistico Generale quale unico strumento che andrà a sostituire gli attuali PSC e RUE per stabilire la programmazione e pianificazione di tutto il loro territorio, da attuare attraverso “Accordi operativi” (che sostituiranno POC e PUA) che definiranno gli interventi da realizzare.